Per Giuseppe Penone la relazione di analogia, trascurata a livello scientifico nel pensiero moderno occidentale, conserva effettivo valore nella lettura delle affinità esistenti tra i regni animale, vegetale e minerale. Negli anni Novanta l’artista intensifica la sua istintiva propensione a intrecciare diversi livelli di realtà e crea le opere della serie Anatomie.
In un’intervista del 1989 avverte come "la nostra cultura ha diviso i modi di pensare, l'essere umano dalla natura. Non credo che questa chiara distinzione possa essere fatta […]. Da un punto di vista cosmico, la distinzione tra loro è irrilevante". La logica dell'analogia permette a Penone di istituire confronti tra forme e materiali diversi che appaiono stretti da legami di somiglianza.
Opportunità espositive di rilievo consentono all'artista di riconsiderare complessivamente il proprio lavoro e di individuare i rapporti esistenti tra le varie opere. Per le mostre retrospettive spesso preferisce concentrarsi su una logica coerente, che travalica un ordine cronologico delle sue creazioni, perché opere concepite in tempi molto diversi possono essere affiancate per misurarne le affinità, con effetti talora sorprendenti. Per l'artista la permanenza di un'opera si misura proprio nella sua capacità di generarne altre, attraverso la trasmigrazione di immagini o tecniche.
Le grigie vene disegnate nel marmo come grafite su carta, sono in parte carbone, grafite.
Il bianco del marmo le avvolge, le copre, è come una pelle, una bianca scorza.
Un albero grigio al centro di un bosco di betulle insinua i suoi rami tra l’intreccio bianco che lo circonda.
Il disegno del marmo, la carta delle betulle, la massa della neve sui monti.
Le vene del suolo, la vita segreta che scorre nella terra,
le vene dell’acqua, le radici dell’erba, le vene di pietra.
Le biforcazioni delle mani, degli alberi, dei fiumi.
Molte delle nuove opere di questo periodo richiedono un lavoro manuale impegnativo. A questo proposito è significativo il titolo L'espace de la main (Lo spazio della mano) scelto per la mostra di Strasburgo del 1991. Dopo aver lavorato con il granito per Nero assoluto d'Africa (1978-79) e con le rocce per la serie Essere fiume (1981), Penone adotta il marmo di Carrara. Bianco e leggermente venato, questo materiale classico è tradizionalmente associato alla rappresentazione della figura umana, e permette all’artista di esplorare le analogie tra il corpo vivo e il minerale.
Nascono così cinque nuove opere intitolate Anatomia - raccogliere gli sguardi (1992). Per Penone la superficie visivamente più vicina al marmo è quella dell'occhio. Scava quindi nella superficie di un blocco, realizzando una forma negativa e ingrandita di un bulbo oculare e del suo nervo ottico, che affonda nella materia. E mentre scolpisce, osserva una vena nel marmo più consistente delle altre, e decide di sottolinearla. Una volta lavorata parzialmente la superficie del marmo, intaglia la vena e la segue nei suoi percorsi irregolari. Il risultato è un altorilievo che rivela un aspetto fluido all'interno della materia, con canali simili a quelli attraverso i quali scorrono il sangue degli animali e la linfa delle piante. Il processo non è finalizzato alla rivelazione di una fase originale o precedente della materia, in quanto nella serie Anatomie l'interesse è rivolto alle affinità, sia linguistiche che visive.
Rispetto ad altre tecniche scultoree impiegate in precedenza, basate sul calco, sul rilevamento dell'impronta e sulla ripetizione, questo nuovo modo di lavorare introduce un fattore arbitrario e liberatorio nel processo creativo, che per l'artista ha caratteristiche simili al disegno e a quanto avviene nella fase ideativa di un progetto.
Anatomia 1 (1993) è un parallelepipedo sbozzato, posato direttamente a terra. Solo due delle sue facce verticali sono lavorate, ma in alcuni punti la definizione arriva al tuttotondo. In un'altra Anatomia dello stesso anno sulla superficie superiore del blocco, il punto in cui il materiale "sembra una pelle, la pelle del marmo", Penone ha inserito il calco in gesso di una mano.
In Anatomia 3 (1993) la materia è attraversata da cavità e cunicoli, e un segmento di venatura diventa un condotto affiorante dentro il quale, grazie a un piccolo motore, scorre dell’acqua che poi si raccoglie in un bacino scavato nella parte inferiore della scultura. L'originario stato di fluidità del materiale, suggerito dalle venature scolpite, è reso evidente con l'introduzione dell'acqua, che in natura è la principale responsabile dell'erosione della pietra.
In Anatomia 5 (1994) è lavorata l'intera superficie del marmo, ma un elemento artificiale infrange la mimesi: una superficie piana, levigata, è visibile sulle due facce opposte della scultura.
A partire dal 2000 Penone rivela le venature presenti in una serie di lastre di marmo di Carrara, che portano il titolo di Pelle di marmo. Una di esse è costituita da quindici lastre sezionate da un unico blocco di pietra, dove la lastra proveniente dal centro del blocco è scolpita su entrambi i lati, mentre le altre, con una sola faccia lavorata, poggiano contro il muro. Il legame della materia con la montagna da cui è prelevata è reso esplicito in un gruppo di sculture simili, Pelle del Monte (2012): le lastre marmoree disposte a parete sono compiutamente lavorate tranne nel profilo superiore che evidenzia una spaccatura grezza.
Una pelle di marmo bianco, una superficie coperta dai piccoli segni degli utensili che indagano, percorrono, scavano e sottolineano le sue vene, svelando il tessuto pulsante del monte.
L’interno e l’esterno.
L’interno riveste l’esterno, la materia che è dentro al corpo usata per avvolgerlo.
La carne, le ossa, le vene della mano rivestono il guanto.
Il marmo riveste la mano, la pelle e le vene, la avvolge e la copre di polvere bianca.
È la scultura del marmo, la pelle di marmo.
Un blocco di marmo tagliato da un filo d’acciaio ricoperto di pietra preziosa.
Una collana che affonda nella carne, nel lardo del monte.
Il sangue del marmo fatto di acqua e polvere bianca che cola dal filo e ci sporca le scarpe.
Un filo imperlato da cilindri diamantati che sembrano pezzi di notte stellata.
Un corpo svuotato.
Si estrae dal buio, dall’interno del monte, l’abbagliante materia del marmo.
In Pelle del vento (2005), pensata per essere esposta all’aperto alla seconda triennale di arte contemporanea di Beaufort, in Belgio (2006), i segni che emergono dalla materia descrivono invece una porzione ingrandita della pelle dell’artista, secondo una trama simile a quella che Penone disegna in Pelle di grafite (2002), esposta prima in una personale del 2006 alla Galerie Alice Pauli di Losanna e poi, nello stesso anno, in Sulla punta della matita si specchia la pelle dell'universo, alla Galleria Tucci Russo di Torre Pellice.
Per il Padiglione Italia della Biennale di Venezia del 2007, Penone dispone al suolo grandi lastre di marmo di Carrara lavorate a bassorilievo, dove le venature che emergono sulla superficie rivelano l'immagine ingrandita di un cervello. Lo spettatore è libero di osservarle, ma anche di calpestarle percependone la forma attraverso il contatto dei piedi. L’associazione rimanda ad altre opere precedenti come Paesaggio del cervello (1991) o La natura delle foglie (1990) e Foglie (1990), risultato della sovrapposizione di due diverse impressioni, una tratta da un teschio e l'altra da una foglia: come spiega l’artista, il riferimento è al processo di "scavo delle idee che, una volta estratte, vengono portate in superficie, e più il cervello è ricco di strati, di ricordi, più gallerie ci sono, più fermate, più facciate di scavo".
In molte opere successive sono incorporati elementi vegetali, animali e minerali, seguendo la logica delle analogie morfologiche. Nella serie Pelle di marmo e spine d’acacia, le lastre di marmo sono infatti accostate a una o più tele su cui l’artista applica spine d'acacia, delineando disegni continui attraverso le due superfici. In altri casi si tratta di ingrandimenti delle impronte del corpo umano: le rughe della pelle di una mano o le labbra, come in una versione lunga dodici metri intitolata Spoglia d'oro su spine d'acacia, realizzata a Tor Bella Monaca a Roma nel 2001-2002; un occhio o la fronte, come in Spine d'acacia - Giano (2015), esposta nel 2016 al Rijksmuseum di Amsterdam.
Le spine, riflette Penone, "causano ferite non letali ma fastidiose; sono simili alle innumerevoli piccole terminazioni nervose della pelle: anche se in modo indiretto, pongono il problema dell’involucro che ci avvolge".
[Cfr. Daniela Lancioni, Anatomie (Anatomies), in Giuseppe Penone. The Inner Life of Forms, a cura di Carlos Basualdo, Gagosian, New York 2018, booklet VIII]