Sotto il titolo Rovesciare i propri occhi è raccolta una serie di lavori attraverso cui l'artista rivela qualcosa che in realtà esiste, ma che lo spettatore non è in grado di percepire appieno spontaneamente. Penone affronta qui un tema diverso da quello sviluppato in parallelo nei suoi Alberi, perseguendo come obiettivi primari la ridefinizione della pratica della scultura e la riflessione sull'identità dell’artista.
Le installazioni realizzate nei locali della Galleria Sperone di Torino nel 1969 vanno in questa direzione. Si tratta di tre opere concepite in stretta relazione con lo spazio architettonico: al suolo Penone appoggia una lastra (Indicazione del pavimento), mentre da una una parete fa sporgere una traversa (Indicazione del muro) e un tubo a sezione rettangolare aperto alle due estremità (Barra d’aria) attraversa il vetro di una finestra all'altezza degli occhi a collegare l'interno e l’esterno, così che l’aria fluisca. Ognuna di queste installazioni è costituita dallo stesso materiale dell'elemento architettonico che occupa: cemento, mattoni, vetro. La lastra di cemento solleva il pavimento, la traversa di mattoni allontana lo spettatore dal muro, la barra di vetro evidenzia la funzione di osmosi della finestra. Le estensioni realizzate da Penone ampliano l'esperienza dello spazio conferendo una maggiore consapevolezza allo spettatore.
Per la Galleria Toselli di Milano nell'aprile 1970 e per la Biennale di Tokyo di un mese successiva, Penone inventa dei dispositivi con superfici riflettenti che, attraverso giochi percettivi, suggeriscono una sorta di disgregazione dello spazio in cui sono allestiti. Nella mostra giapponese, piccoli specchi si riflettono l'uno nell'altro, definendo un percorso circolare che incorpora anche una superficie d'acqua in cui si specchia il cielo. Il titolo dell'opera, Demagnetizzazione di una stanza, si riferisce alla perdita di gravità nella stanza, che, riflessa nel gioco di specchi, trasmigra nello spazio.
Rovesciare i propri occhi può essere considerata una sintesi di queste sperimentazioni. Penone fa confezionare delle lenti a contatto specchianti, le indossa e si fa fotografare. L’artista, reso cieco dalle lenti e privato del suo sguardo, riflette nei suoi occhi il paesaggio che gli sta davanti, e che lo spettatore può intravedere nello specchio delle sue lenti. Le registrazioni fotografiche consentono a Penone di vedere, a posteriori, immagini che egli stesso ha raccolto nel passato.
Le lenti a contatto specchianti coprono l’iride e la pupilla,
indossandole mi rendono cieco.
… poste sull’occhio, indicano il punto di divisione,
di separazione da ciò che mi circonda.
Sono come la pelle un elemento di confine,
l’interruzione di un canale di informazione che usa come medium la luce.
La loro caratteristica specchiante fa sì che l’informazione giunta al mio occhio venga riflessa.
Bloccando l’estensione della vista, eliminano dei dati necessari al mio comportamento successivo.
Quando gli occhi, coperti dalle lenti a contatto specchianti, riflettono nello spazio le immagini che colgono con i movimenti abituali dell’osservare,
si dilaziona nel tempo la facoltà di vedere e si affida all’incerto esito della registrazione fotografica la possibilità di vedere nel futuro le immagini raccolte dagli occhi nel passato.
La vista si interrompe e il corpo dell’artista diventa un volume chiuso, una scultura. Si è auto-acciecato, ma ha la possibilità di registrare immagini che non sono, in questo caso, il risultato di una selezione individuale. Attraverso questa sorta di "arte divinatoria" - così come è stata descritta dalla critica - delle lenti a contatto, il corpo dell'artista viene offerto "all'immaginario collettivo" attraverso le sue capacità visionarie. Le immagini che i suoi occhi registrano sono immediatamente proiettate verso l'esterno, dirette verso gli altri senza essere manipolate.
L'artista ha però il potere di governare le fasi dell’opera nel tempo: indossare le lenti a contatto a specchio, girare la testa come se guardasse il paesaggio, rifletterlo nelle lenti facendosi fotografare, fare stampare le fotografie e guardarle in seguito. Svolge cioè un processo che permette di restituire agli altri la verità della sua visione, di trasmettere un'esperienza autentica che non è influenzata dalle abitudini o dal contesto, quindi un'esperienza non manipolata né individuale. Al contrario, l’azione si fonda su alcuni riferimenti condivisi, come l'idea stessa di scultura, l'idea di cecità profetica, consolidata nel mito, e infine la capacità di documentare attribuita al mezzo fotografico.
Penone indossa le lenti in varie occasioni: il 19 settembre 1970 nella Galleria Sperone di Torino, durante una mostra di Hamish Fulton, e il successivo 6 ottobre ai Murazzi di Torino, lungo il Po; l’anno seguente, il 23 febbraio 1971 in Piazza di Spagna a Roma, in compagnia di Gilberto Zorio e Cy Twombly, e pochi giorni dopo, il 28 febbraio, sul treno da Ceva a Savona. Le indossa il 23 marzo dello stesso anno alla Galleria Paul Maenz di Colonia, e il 26 maggio al Kunstverein di Monaco di Baviera, in occasione dell'inaugurazione di una mostra collettiva sull’Arte Povera, alla quale partecipa.
A documentarlo sono spesso le fotografie di Paolo Mussat Sartor o di Paolo Pellion. Il 9 marzo 1971 Claudio Basso lo ritrae in via Lepetit a Garessio in una precisa sequenza di diapositive che restituiscono una ulteriore versione del lavoro: negli scatti ripresi in successione la posizione della figura dell’artista rimane invariata, ma l'inquadratura si avvicina gradualmente e termina con il dettaglio dei suoi occhi, accecati dalle lenti, che riflettono la figura del fotografo. Il 1° dicembre 1971, agli Incontri Internazionali d'Arte di Roma, in occasione di una mostra dal titolo Informazioni sulla presenza italiana, Penone è fotografato anche da Claudio Abate.
L'occhio assorbe la luce; non la riflette.
Vedere è assorbire la luce, assorbire le immagini.
L'immagine riflessa è il confine tra la realtà e un mondo di sogno o un'apparizione;
non ha sostanza ed è l'istante che segue i cambiamenti della realtà.
L'immagine riflessa viene assorbita dagli occhi, e muore in essi.
L'involucro è importante perché è la definizione dell'individuo.
La pelle ferita interrompe la definizione perfetta di una persona e permette una confusione con diversi elementi e sostanze che a poco a poco può sopraffare e cancellare l'identità.
È una confusione simile ai suoni che passa attraverso le cose.
La pelle diventa un tamburo, uno strumento poetico e musicale.
Rovesciare i propri occhi dà anche il titolo a un libro, pubblicato nel 1977 all’interno della prestigiosa collana Giulio Einaudi Letteratura, che contiene un resoconto cronologico dell'opera dell’artista corredato da immagini insieme alla prima raccolta dei suoi scritti.
[Cfr. Daniela Lancioni, Rovesciare i propri occhi (Reversing One’s Eyes), in Giuseppe Penone. The Inner Life of Forms, a cura di Carlos Basualdo, Gagosian, New York 2018, booklet III]