Essere fiume

Nelle opere della serie Essere fiume, l'atto di scolpire non consiste nel rivelare un aspetto nascosto della natura, ma nel ripercorrere le fasi dei processi naturali e ripeterle con tecniche e materiali tradizionali, in questo caso la pietra. Il primo lavoro di questo genere è esposto in una mostra personale intitolata proprio Essere fiume, presso la galleria di Konrad Fischer a Düsseldorf nel 1981.

Essere fiume, 1981

© Nanda Lanfranco

L'arte dei primi anni Ottanta è investita da un rinnovato interesse per la pittura e la scultura, e anche Giuseppe Penone in questa fase utilizza tecniche tradizionali, ma le sue creazioni possono essere facilmente scambiate per elementi naturali, e la sua scultura va compresa nei termini del paradosso.

Le premesse anche in questo caso già si trovano nei primi lavori: nella serie Alpi Marittime l’interesse per il fiume come elemento naturale e scultoreo è testimoniato dall'opera La mia altezza, la larghezza delle mie braccia, il mio spessore in un ruscello (1968), e da alcuni disegni dal vero che ritraggono le pietre del letto di un fiume, realizzati in quel periodo.

Senza titolo, 1966

© Archivio Penone

L'idea di rifare in scultura qualcosa di già esistente è presente invece nel lavoro Gemelli, del 1969, che consiste in due blocchi rettangolari di identiche dimensioni, uno in ferro e uno in cera: tutti gli eventi accidentali che modificano nel tempo l'aspetto della forma in cera vengono riprodotti mimeticamente dall'artista sul blocco di ferro.

La confidenza di Penone con la materia lapidea è già completa alla creazione di Nero assoluto dell'Africa (1978-79): l’artista comprende che accarezzare la pietra con carta vetrata o altre pietre o lavorarla con uno scalpello, una raspa o un bisturi, è un processo simile a quello che avviene quando lo scorrere dell'acqua di un fiume leviga le rocce. Attraverso il lavoro manuale sulla materia, l’artista può immedesimarsi con il fiume.

Essere fiume, 1995–1996

© Paul Andriesse

Conoscere ogni pietra, ogni anfratto, ogni piccolo banco di sabbia di un ruscello,
rivisitarlo ogni anno tastandone il fondo per registrare i cambiamenti prodotti dalle piogge, dal gelo.

Nessun elemento, nessuna sua forma è casuale.

Sbiancarsi le mani a forza di stare nell’acqua per essere, almeno una volta, una parte di fiume.

Il processo creativo necessario per "essere fiume" è descritto dall'artista stesso nel 1980: "estrarre una pietra scolpita dal fiume, andare a ritroso nel corso del fiume, scoprire il punto del monte da dove la pietra è venuta, estrarre un nuovo blocco di pietra dal monte, ripetere esattamente la pietra estratta dal fiume nel nuovo blocco di pietra è essere fiume". Il lavoro è staccare una massa di pietra dalla montagna e lavorarla, rendendola identica alla pietra prelevata dal fiume, la cui forma specifica è il risultato della sua esposizione all'acqua corrente e di una serie di accidenti naturali diversi: rotolamento, collisione con altre pietre, azione corrosiva della terra trascinata dall'acqua. Si può quindi concludere che "produrre una pietra di pietra è scultura perfetta, rientra nella natura, è patrimonio cosmico, creazione pura, la naturalità della buona scultura, la assume a valore cosmico. È l'essere fiume la vera scultura di pietra".

Essere fiume, 1981

Foto del torrente - Foto della cava

© Archivio Penone

Nella prima occasione in cui vengono mostrate, le due pietre, quella naturale e quella ricreata dall’artista, sono poste in due differenti stanze su un supporto costruito dall’artista a richiamare l’idea di fluidità dell’elemento fiume. Ma l’anno seguente, nel 1982, per l’edizione di Documenta 7 a Kassel, le pietre sono poste una accanto all’altra, puntando sulla sensazione di meraviglia che suscita nello spettatore la visione di due elementi che appaiono entrambi naturali, ma stranamente identici. Nei decenni successivi, Penone crea nuove varianti di Essere fiume, ognuna diversa nella forma e nelle dimensioni, ma il materiale è sempre la pietra.

L’acqua delle cascate, dei torrenti, dei fiumi
come le pietre scava il terreno e produce il letto del fiume,
come i piedi che ripetono un percorso seguendo una economia di azione
e una logica di consumo producono il sentiero, la strada.

Materie diverse hanno forma di movimento analogo.

Le anse dei fiumi sono il risultato della massa e della velocità delle acque
che scorrono sulla pendenza del territorio come le anse o curve della strada.

Le anse dei fiumi sono in stretto rapporto al pieno della terra,
le anse dei sentieri al vuoto dell'aria.

Anche il fiato, il respiro si espande seguendo un percorso,
a volte a meandri, altre volte più teso seguendo le correnti dell'aria.

Riempire uno spazio coi meandri del fiato,
il volume del fiato prodotto dalla vita di un uomo.

Essere fiume, 2010

© Archivio Penone

La logica che sostiene la serie Essere fiume può intersecare più discipline. L'azione per cui l'acqua plasma nel tempo una pietra di fiume è per certi versi comparabile a un’azione a lungo iterata da una comunità di individui, generalmente oggetto di analisi antropologica. Su questa base Penone ha ideato il lavoro per la Dean Clough Mills Foundation di Halifax, una ex manifattura di tappeti attiva dai primi dell’Ottocento sino al 1982, in seguito diventata la sede di un centro culturale. Nell'opera Contour Lines (1989) vengono rivelate "le tracce di centocinquanta anni di lavoro", la presenza immanente nell’architettura dei cinquemila operai della fabbrica che, coi loro zoccoli, hanno consumato i pavimenti e le scale della fabbrica. Penone crea i calchi dei pavimenti erosi, ne fa dei modelli positivi, trasformando lo spazio vuoto del materiale scavato con l'uso in un solido. Infine, getta queste forme in ghisa, la lega metallica storicamente prodotta nello Yorkshire, presso una fonderia non lontana dalla manifattura. L'azione automatica e involontaria svolta dagli operai nel corso degli anni è simile all'azione lenta e continua del fiume. La ripetizione di quel processo garantisce la trasmissione della memoria, della consapevolezza.

Contour Lines, 1989

© Archivio Penone

Riflessioni sui processi di stratificazione tanto della materia quanto della memoria sono presenti in altri lavori. Ad esempio, nella serie La struttura del tempo (dal 1992), dove il punto di partenza è un ramo staccato dal proprio albero e quindi giunto alla fine della sua crescita. L'artista ne realizza una copia in argilla della stessa forma e dimensione. A questa ne sovrappone altre, sempre più piccole, come cordoli di creta impiegati per una lavorazione a colombino, simile a quella impiegata per i Soffi. L’artista propone così, in un lento percorso a ritroso, le forme e le dimensioni che il ramo ha assunto durante il suo sviluppo, tornando alle sue configurazioni iniziali. Le strutture vagamente piramidali che ne risultano - anche nelle versioni in bronzo - sono la materializzazione del passaggio del tempo, visualizzato attraverso la graduale crescita del ramo.

Struttura del tempo, 1992

© Adam Rzepka

Anche ne Il riflesso del bronzo (2004), una sequenza di sei lastre di bronzo, ognuna creata dal getto della precedente, l’artista ragiona sullo stratificarsi del tempo nella materia. La lastra iniziale è lucida e completamente riflettente grazie a un'azione di finitura effettuata strofinando la superficie. Penone, ricoprendo la superficie riflettente con gesso refrattario ne ricava un calco, da cui ottiene lo stampo per la colata di una seconda lastra, utilizzando la tecnica della cera persa, e ripete questa azione per cinque volte. In ogni nuova lastra sono state omesse le rettifiche (limatura, saldatura, aggiunte), così, di lastra in lastra, le dimensioni si riducono gradualmente, ma la superficie diventa più spessa, popolata da tracce e bave, e piegata. Ogni lastra assume il ricordo di quelle che la precedevano. Il processo di ripetizione messo in atto in quest'opera inoltre traduce la luce nell’ombra, cioè nell'opacità della materia, indicando la reversibilità degli opposti.

Il riflesso del bronzo, 2004

© Archivio Penone

Nelle Geologie e nelle Terre, due serie di lavori concepiti tra il 1987 e il 1991, la scultura mima la lenta azione della natura, che occupa tempi geologici. Versando la terra un po' alla volta con una mano sola, Penone la stratifica all'interno di strutture trasparenti, sostenute da telai di alluminio o di pietra. In alcune di queste opere è visibile l'impronta di una mano, grazie alla capacità della terra di conservare le tracce degli oggetti che la occupano. L’artista inserisce una mano nel contenitore e poi versa la terra strato su strato prima di rimuoverla. Quando la rimuove, la stratificazione perde il suo disegno lineare, assumendo la forma della mano e dando corpo ad un processo sia fisico che antropologico.

Geologia, 1989

Paolo Pellion © Archivio Penone

I lavori di questo tipo si prestano a sovrapposizioni e accostamenti. Un gruppo di fotografie della serie Svolgere la propria pelle del 1970 è esposto di fianco a Geologie, formando il lavoro Senza titolo, esposto in una personale alla Galleria Christian Stein di Torino nel 1989. In Geologia (1989) una porzione stratificata di terra contenuta all'interno di un lungo e stretto cilindro di plexiglas è accostata al disegno dell'ingrandimento di un'impronta della pelle dell’artista.

[Cfr. Daniela Lancioni, Essere fiume (To Be a River), in Giuseppe Penone. The Inner Life of Forms, a cura di Carlos Basualdo, Gagosian, New York 2018, booklet VI]

Palpebra e terra, 1989

© Nanda Lanfranco