Negli anni Ottanta Giuseppe Penone si è dedicato completamente alla scultura, utilizzando materiali tradizionali come cera, legno, gesso, terra, bronzo, pietra e marmo. La percezione "dell'estrema precarietà del concetto di solido, fluido, duro, morbido, positivo, negativo" guida l’artista nell’intercettare le forme e fare rivelazioni sullo stato della materia o sulle sue dinamiche di trasformazione.
Se in Essere fiume questa realtà cangiante è affrontata ripetendo l’opera della natura, con i Gesti vegetali la chiave del processo scultoreo è la possibilità di fossilizzare un movimento.
Tra i lavori che preludono a questa serie si distinguono i Cocci (1979). Penone, dopo aver esplorato la forma del vaso in una serie omonima del 1975, passa a combinare frammenti di antichi vasi con il gesto primordiale di unire le mani per contenere l’acqua. L'artista tiene nell'incavo delle mani un coccio, vi fa colare del gesso liquido e lo lascia solidificare. Una volta indurito, il gesso aderisce al frammento e, allo stesso tempo, prende l'impronta delle sue mani.
Anni dopo, nel 2004, Penone torna a ripetere il gesto inaugurando la serie Geometria nelle mani, dove ai frammenti di vaso tra le mani si sostituiscono dei solidi geometrici giocattolo (un cerchio, un ovale, un quadrato, un triangolo, un trapezio). In questo caso è un negativo fotografico al posto del gesso a documentare il gesto e a invertire scuro in chiaro e pieno in vuoto, annullando la differenza che li separa. In seguito queste opere con solidi geometrici tenuti fra le mani diventano matrici per creare cinque sculture di grandi dimensioni. Il bronzo sostituisce il gesso e i solidi sono realizzati a contrasto in acciaio riflettente. All'interno dei solidi si apre una fessura che permette di intravedere lo stampo da cui nascono le sculture, con le dita della mano a grandezza naturale che forniscono un indizio per interpretare l'opera e un tentativo di suggerire la comune origine di elementi apparentemente opposti, macro e micro, positivi e negativi.
Dal 1979 il gesto delle mani tenute a forma di coppa ispira una serie di opere a sviluppo verticale, chiamate Albero d'acqua. Si tratta di colonne formate dalla sovrapposizione di calchi ottenuti versando gesso liquido nelle mani. La relazione di questa verticalità con quella della figura umana è ben spiegata in un disegno, dove da un piccolo vaso poggiato a terra si erge una "colonna di gesso" terminante in un elemento simile al becco di un'anfora, identificato come "coccio". Accanto alla colonna Penone pone la sagoma di un individuo nell'atto di bere proprio da un coccio. Come scrive l’artista, "la condizione della scultura è la verticalità" e "innalzare l’acqua è momento poetico […] La condizione dell’acqua è informe, a condizione della scultura è la forma. Dare una forma all’acqua è momento poetico. […] Innalzare l’acqua per berla è necessità vitale, visualizzare questo evento è costruire qualcosa che ci è simile".
Nel gruppo verticale Albero d’acqua e Soffio di foglie (1980), Penone combina due lavori diversi, inserendo un Soffio di foglie in bronzo nella colonna di un Albero d'acqua, all'altezza della bocca di un adulto.
Imprimendo un movimento di rotazione al mento che afferra e tiene,
e al labbro che lecca e versa, si ottiene un vaso.
Nel 1979-1980 Penone si trova a Mönchengladbach, in Germania, per una residenza d'artista al Museo Abteiberg. Qui realizza una serie di opere nelle quali diventa protagonista una sensualità altrove velatamente sottesa: sesso femminile e sesso maschile si svelano, infatti, in un rapporto di analogia con la morfologia vegetale. L'origine di questi lavori si trova in Zappa di terra, composta da un tronco d'albero proveniente da un bosco vicino a Mönchengladbach e da un elemento in argilla in cui l'artista fossilizza il gesto dello zappare. Nel punto più alto del movimento, la lama della zappa affonda nell'argilla, lasciando visibile solo il manico. L'opera suggerisce il collegamento esistente tra la natura dell'albero e quella dello strumento costruito dall’uomo e pone a confronto la rapidità del gesto della zappa con la lentezza della crescita dell’albero.
In un lavoro successivo, Zappa e vasi, il gesto è invece veicolato da una piastra di ferro, estensione della lama della zappa, che tocca una fila di vasi di terracotta, appiattiti l'uno contro l'altro fino a rovesciarsi, come zolle di terra smosse. L'azione della zappa che feconda la terra si accosta alla forma del vaso, tradizionalmente associata al grembo materno, in un legame affine a quello esistente tra i concetti di coltura e cultura, due parole derivanti da un'etimologia comune.
Un’economia di gesti produce la scultura, girare vorticosamente attorno a un punto dà la concentrazione di spazio necessaria alla scultura.
Io mi appoggio alla forma che si avvita con le sue linee concentriche nello spazio e nella materia.
È la necessità di sfuggire all’attrito che frena il vento dell’azione a dare la scultura, il gesto animale dell’albero verticale, il gesto vegetale dello scultore.
Attorno al gesto dell'albero l'azione dello scultore si dilegua e nel gesto vegetale dello scultore l’azione dell’albero è trattenuta.
Attorno alla scultura,
attorno allo scultore,
bosso, alloro, mirto, ulivo.
A questo periodo risalgono i primi disegni che si riferiscono ai Gesti vegetali e contengono la proposta di "costruire una foglia gigantesca a misura d’uomo", poiché "vegetale è lo scultore nella ripetizione dei suoi gesti che fissati e sovrapposti producono la sua presenza nello spazio". Il primo Gesto vegetale in bronzo è un corpo femminile modellato su un manichino a grandezza naturale. I gesti sono delineati su di esso con la creta, materia che registra le impronte dell’artista e da cui sono tratte le matrici per la fusione.
In alcuni dei primi Gesti vegetali, i bronzi sono accostati a un ramo biforcuto, apparso anche in un'opera del 1982 intitolata appunto Biforcazione. In Doppio gesto vegetale dello stesso anno, il gesto bronzeo di una gamba si unisce a un ramo biforcuto sostenuto dal gesto fossilizzato di un'ascia. In alcuni Gesti vegetali - esposti in mostre personali nel 1982 e nel 1983 alla Galleria Konrad Fischer di Zurigo, alla Galleria Durand-Dessert di Parigi e alla Galleria Christian Stein di Milano - i bronzi sono accostati in modo da restituire, seppur parzialmente, la figura umana. Tutti i successivi Gesti Vegetali sono figure cave tracciate da un singolo gesto, o gruppo di gesti che vengono eseguiti in sequenza, per rivelare la figura.
Il bronzo è il materiale eletto per i Gesti vegetali in quanto permette di avvicinarsi maggiormente all'aspetto naturale di un tronco d’albero. Nel 1980 Penone scrive che "nel bronzo, la vita vegetale conserva tutto il suo aspetto e, se posto all'aperto, reagisce con il clima, ossidandosi e assumendo così gli stessi colori delle piante che la circondano. La sua patina è la sintesi del paesaggio". E a proposito del senso di fossilizzare gesti "che si sono sviluppati in uno spazio" l'artista afferma che è un’operazione che "avvicina l’uomo ai vegetali costretti a vivere eternamente sotto il peso dei loro ‘gesti’ del loro vissuto"; non a caso i gesti prescelti sono movimenti del tutto ordinari: "con gesti dati per scontati, reali, normali, si tempra lo spirito eroico dell’opera d’arte esempio del sacro banale che sta nelle cose".
Per la composizione di alcuni Gesti vegetali Penone trae ispirazione anche da immagini note della storia dell’arte: un bassorilievo medievale come l’Eva della cattedrale di Autun (in Gesto vegetale – Eva di Autun, 1983) o un'odalisca dipinta da Jean-Auguste-Dominique Ingres (in Impronta vegetale, 1982). In Grande gesto vegetale (1983), una sola figura è sollevata da terra dal prolungamento di tre gesti, lasciando nel mezzo lo spazio vuoto di basamento che non c'è. I volti di queste sculture sono ricavati da una foglia di zucca fusa in bronzo. In Sentiero (1983 e 1983-1984), invece, una figura solitaria procede solennemente nello spazio, lasciando una traccia del suo percorso.
In genere i Gesti vegetali sono stati allestiti all'aperto con vegetali a riempirne le cavità, fondendosi con la figura umana, o in interni, insieme a piante in vaso. Il gesto intitolato Paesaggio verticale (1984), esposto al Castello di Rivoli nel dicembre 1984, si erge sopra un vaso riempito di terra, ma anziché da piante, la figura cava è attraversata da una tela su cui sono impresse le forme degli alberi e del fogliame. Si crea così un collegamento quasi naturale con Verde del bosco, una serie di frottages ottenuti sfregando foglie su cortecce di albero.
[Cfr. Daniela Lancioni, Gesti vegetali (Vegetal Gestures), in Giuseppe Penone. The Inner Life of Forms, a cura di Carlos Basualdo, Gagosian, New York 2018, booklet VII]